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Nulla la vecchia bancarotta
Cassazione. Cancellata la condanna per fatti avvenuti prima della riforma del 2006 Il reato non c’è se l’imprenditore oggi rientra tra i «piccoli» Non va condannato per bancarotta il piccolo imprenditore Neppure quando il processo penale è iniziato quando era in vigore la disciplina precedente alla riforma del diritto fallimentare. Così, a chi sta al disotto delle soglie di fallibilità non può essere imputato il più classico dei reati fallimentari: la bancarotta fraudolenta per distrazione. Di più: anche chi ha avuto una condanna già passata in giudicato, ma aveva le carte in regola per essere considerato piccolo imprenditore, potrebbe adesso farsi cancellare la pronuncia dal casellario, facendo tornare immacolata la propria fedina penale (un po’come è successo per il falso i bilancio per il “gioco” delle soglie di rilevanza). A fissare il principio è un’importante sentenza della Cassazione (la n. 43076 della Quinta sezione penale, depositata il 21 novembre) che, smentendo l’unico precedente risalente al maggio scorso, sposa la linea più favorevole agli imprenditori. La decisione ha annullato la condanna per bancarotta fraudolenta emessa dalla Corte d’appello di Venezia nei confronti di un imprenditore, in rapporto al fallimento di una società in nome collettivo. La sentenza dichiarativa di fallimento era precedente alla riforma del diritto fallimentare del 2006: l’imprenditore, all’epoca, non venne considerato piccolo perché la sua era una società commerciale. Allora, infatti, l’articolo i della “vecchia” legge fallimentare escludeva che potessero essere considerati piccoli imprenditori tutte le società commerciali, indipendentemente dalle loro dimensioni e da altri indicatori. Anche la sentenza di primo grado, con la quale il Gup di Treviso aveva condannato l’imprenditore a 2 anni e 4 mesi di reclusione era stata pronunciata sotto la disciplina precedente. Non così invece per la sentenza di appello che, peraltro, aveva confermato la condanna, anche se, nel frattempo, era intervenuta la riforma. La nuova legge fallimentare non ripete la rigidità della vecchia e, sempre all’articolo i, prevede che devono essere considerati piccoli imprenditori, e pertanto esclusi da fallimento, tutti i soggetti hanno effettuato investimenti in azienda per un capitale superiore a 300 mila euro oppure hanno realizzato ricavi lordi, negli ultimi 3 anni, per un complessivo annuo inferiore a 200 mila euro. Per la Cassazione non c’è dubbio che la nuova normativa deve essere considerata più favorevole rispetto al più ampio perimetro di punibilità per reati fallimentari precedente. La riforma, infatti, fa dipendere la qualifica di piccolo imprenditore non da un dato esterno e formale, ma da elementi oggettivi come il capitale investito in azienda o l’ammontare dei ricavi ottenuti. Il nodo da sciogliere diventa allora quello della successione nel tempo di leggi penali e, in particolare, di quelle norme, anche extrapenali, richiamate in maniera esplicita a integrazione della fattispecie incriminatrice. Occorre cioè accertare, sottolinea la Corte, se la successione normativa comporta «rispetto al “fatto”, quella reale novità legislativa che costituisce la ratio giustificatrice del principio di retroattività della legge più favorevole». A tutto questo si aggiunge poi il fatto che la riforma fallimentare prevede esplicitamente che le procedure di fa1liment aperte alla data di entrata in vigore delle novità sono disciplinate dalla vecchia normativa Una previsione che in precedenza la stessa Cassazione (sentenza n. 19297del 2007) aveva considerato decisiva nel ritenere che il reato dì bancarotta potesse essere contestato anche a chi dopo la riforma deve essere considerato piccolo imprenditore. Una tesi non condivisa dall’attuale pronuncia (tanto da lasciare pensare a un futuro intervento delle Sezioni unite ). Che, invece, mette in evidenza come il cambiamento normativo sulla fallibilità dell’imputato si riflette sull’esistenza del reato e come il legislatore possa disciplinare in maniera più libera la fase transitoria dal vecchio al nuovo nel settore civile rispetto al penale. In quest’ultimo settore, infatti, bisogna tenere conto dell’articolo 2 che prevede l’applicazione della norma più favorevole. Principio che può essere trasgredito. Ma solo in maniera esplicita. Cosa, che non sembra fare la disciplina della fase transitoria introdotta dalla riforma. A conclusione, così, la Cassazione osserva che «è di tutta evidenza che il novum legislativo non ha affatto portato a un’abrogazione di norma penale, ma, semplicemente, alla ridefinizione della qualifica di soggetto attivo» del reato. Tocca al giudice verificare così l’eventuale coincidenza tra la vecchia fattispecie penale e quella nuova per sancire l’eventuale conferma della punibilità. Che però deve essere esclusa se, come sembra (ma la decisione finale toccherà al giudice del rinvio) l’imprenditore in questione poteva essere considerato «piccolo». Giovanni Negri Una ridefinizione da Il Sole 24 Ore Sentenza 43076/07 Non può dubitarsi che [‘articolo 150 del Dlgs 5/06 abbia carattere procedurale, ma nel silenzio del legislatore (...), atteso che essa regola, appunto, le procedure concorsuali pendenti al momento della entrata in vigore, ma non rende ultrattivo lo status di imprenditore ’fallibile” a mente delle norme previgenti, inibendo al giudice penale la applicazione dell’articolo 2 del Codice penale, la cui ratio è quella di evitare che sia sottoposto a sanzione penale un soggetto che, alla luce della nuova normativa, non sarebbe meritevole di punizione. Opinare diversamente vorrebbe dire sposare una concezione in base alla quale è punibile la mera ribellione all’ordinamento,il che contraddice uno dei principi cardine del nostro sistema penale, vale a dire quello di offensività (...). Tanto premesso, va ulteriormente chiarito che, nel caso in esame, è di tutta evidenza che il novum legislativo non ha affatto portato a un’abrogazione di una norma penale, ma, semplicemente, alla ridefinizione della qualifica di soggetto attivo REATO DI BANCAROTTA Scissione societaria e bancarotta Non c'è bancarotta fraudolenta impropria in caso di scissione societaria quando la società fallita, in base alprogetto di scissione, non risultava proprietaria di beni immobili, rimasti all'altra società. I creditori, infatti, non avrebbero potuto mai contare su quei beni, con la conseguenza che non è possibile che sia stata compiuta una distrazione degli stessi. Fonte: Corte di Cassazione, Sentenza n. 45031/2010
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